C’è qualcosa di profondamente romantico nella storia di Simone Inzaghi all’Inter. Una storia fatta di silenzi, di sottovalutazioni, di giudizi affrettati e poi ritrattati. Una storia che oggi, dopo il doppio capolavoro contro il Bayern Monaco nei quarti di finale di Champions League, entra ufficialmente nella leggenda nerazzurra.

2 Semifinali Champions!
Inzaghi è infatti, il secondo allenatore nella storia del club, insieme all’iconico Helenio Herrera, a centrare per due volte l’approdo alle semifinali della massima competizione europea. Due nomi lontani nel tempo, ma legati da un filo invisibile fatto di carisma, lavoro oscuro e identità tattica. Il “mago” e il “demone”.

Conte lasciò questa squadra perché non c’era futuro!
In tre anni, Simone Inzaghi ha preso per mano una squadra scossa dalla partenza di Antonio Conte e da una situazione societaria che avrebbe affondato molti. Non aveva in mano i milioni dei top club europei, non ha avuto il potere di scegliere top players da mettere in vetrina. Aveva invece una rosa buona che ha saputo trasformare in scintillante: un’orchestra capace di suonare anche nei teatri più ostili d’Europa e scorrendo l’elenco delle squadre affrontate finora nel cammino di Champions, si fa presto a capire l’importanza dell’impresa.

Un uomo che combatte in silenzio
La forza dell’Inter di Inzaghi non è nelle individualità, ma nell’insieme. Ogni uomo sa esattamente cosa fare, dove muoversi, come reagire. La squadra è diventata un organismo vivo, pulsante, che si adatta, che soffre e poi colpisce. Un lavoro certosino, costruito in silenzio, mentre gli altri parlavano di mercato, di parametri zero, di “panchina traballante”.

Una stagione da ricordare
Eppure oggi, l’Inter è l’unica squadra italiana, in Europa ancora in corsa su tutti i fronti. Ha giocato più di chiunque altro, ha tenuto ritmi forsennati, ha affrontato trasferte proibitive e non ha mai mollato. Inzaghi ha trasformato i suoi ragazzi in guerrieri lucidi, ha dato nuova vita a calciatori considerati di secondo piano o “finiti” per raggiunti limiti anagrafici, ha gestito con intelligenza un gruppo che oggi è un blocco unico, dentro e fuori dal campo.

Bravura e non fortuna!
Non si può parlare di casualità. Non si può parlare di fortuna. Si deve parlare di bravura. Di visione. Di crescita. Perché se è vero che i trofei riempiono le bacheche, è anche vero che certi percorsi, certe cavalcate, certi sogni europei scrivono la storia con lettere altrettanto indelebili. Simone Inzaghi, il “demone” di Piacenza, è entrato a pieno titolo tra i grandi della storia nerazzurra; la sua Inter è una dichiarazione d’amore al gioco vero, fatto di idee, di anima, di fatica condivisa. E allora comunque vada, che sia un trofeo da alzare a Monaco di Baviera o una stretta di mano con l’onore delle armi, una cosa è certa: oggi l’Inter ha un condottiero. E l’Italia, forse, il suo miglior allenatore.

La finale e la coppa come obiettivo numero 1!
Non c’è tempo per godersi la vittoria, c’è un filotto di partite che a vederle tutte insieme, mettono i brividi ma il diretto erede di Herrera, sa che il suo predecessore, quelle due semifinali raggiunte, le ha poi vinte, portando a casa il trofeo più importante: Simone ha sfiorato l’impresa 3 anni fa contro il City, oggi siamo certi che venderà cara la pelle per arrivare fino in fondo, per dimostrare a tutti che il calcio è un gioco fatto di idee e non solo di nomi da figurine.
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