Diogo Jota

Il recente incidente che ha coinvolto il calciatore portoghese del Liverpool Diogo Jota, tragicamente scomparso in circostanze ancora da chiarire, riaccende una riflessione che torna puntuale ogni volta che un talento del calcio perde la vita fuori dal campo. Il legame tra calciatori e motori è spesso segnato da un fascino pericoloso: potenza, velocità, status. Ma quando questi elementi si sommano all’età giovane e a un’euforia mal gestita, il risultato può essere fatale.

Negli anni, troppi nomi si sono aggiunti ad una lista dolorosa

Gigi Meroni, stella del Torino, venne travolto nel 1967 da un’auto mentre attraversava corso Re Umberto. A guidarla era Attilio Romero, giovane tifoso granata, che anni dopo sarebbe diventato presidente del club. Meroni aveva 24 anni.

Gaetano Scirea, simbolo di correttezza e intelligenza calcistica, perse la vita in Polonia nel 1989: non era al volante, ma l’auto su cui viaggiava prese fuoco dopo un tamponamento. Era lì per osservare un avversario della Juventus in una trasferta europea.

Nel 2001 Niccolò Galli, promettente difensore delle giovanili del Bologna e figlio dell’ex portiere Giovanni Galli, morì a soli 17 anni in un incidente con il motorino, lungo una strada poco illuminata nei pressi del centro sportivo.

Tra i tanti casi, anche quello del brasiliano Dirceu, già visto in Serie A con Verona, Avellino e Napoli, morto in patria nel 1995 dopo uno schianto in auto.

E poi ci sono storie come quella di José Antonio Reyes, ex talento di Siviglia, Arsenal e Real Madrid, morto nel 2019 a causa dell’alta velocità sulla sua Mercedes, che viaggiava a oltre 200 km/h.

L’elenco è lungo. Jason Mayele, attaccante del Chievo, morì nel 2002 mentre correva in auto per non perdere l’autobus della squadra. Vittorio Mero, difensore del Brescia, si schiantò in autostrada nel 2002.

Tutti casi diversi, ma con un punto in comune: la strada

Il tema resta aperto. Le automobili ad alte prestazioni sono oggi accessibili per molti giovani calciatori, spesso appena ventenni, con un reddito elevato e poca esperienza alla guida. In alcuni casi, a causare la tragedia è la fatalità. In altri, l’eccesso di fiducia. Il mondo del calcio — che ha fatto grandi passi in tema di preparazione atletica e comunicazione — dovrebbe forse interrogarsi su cosa si può fare in più anche sotto il profilo dell’educazione alla sicurezza.

Non è solo un fatto privato. Quando un calciatore muore così, è il calcio stesso a perdere qualcosa. Un’occasione mancata, un talento spezzato, un vuoto che nessuna commemorazione potrà colmare.

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